Sarà colpa dei social, della scuola che non insegna più come un tempo o del cosiddetto analfabetismo funzionale, ma sta di fatto che di orrori grammaticali ne è ormai (tristemente) pieno il mondo.
Lo sa bene chi per lavoro è costretto (in alcuni casi si tratta di vere torture intellettuali) a correggere bozze o elaborati scritti in cui gli svarioni abbondano. E che svarioni! A tutti può capitare una svista, uno strafalcione o un errore di battitura, ma ci sono dei limiti ben precisi oltre i quali l’errore è sinonimo di pura e semplice ignoranza.
Ai primi posti nella classifica delle regole grammaticali più maltrattate v’è l’uso dell’apostrofo, a volte dimenticato, altre messo a sproposito: un’altro anziché un altro o, viceversa, un altra anziché un’altra; qualcun’altro al posto di qualcun altro, d’appertutto anziché dappertutto, non c’è la faccio anziché non ce la faccio, e poi il classico, intramontabile, qual’è mentre invece si scrive qual è.
Proseguiamo nella galleria degli orrori con la terrificante storpiatura dei pronomi: “gli dico” riferito ad una donna (ripetiamo tutti insieme: LE dico). E poi propio anziché proprio, pultroppo anziché purtroppo, cesario anziché cesareo, salciccia anziché salsiccia.
Un’ultima prece, infine, per il congiuntivo, questo illustre sconosciuto. L’importante non è che tu hai fatto qualcosa o meno, ma che tu (al massimo) l’abbia fatta.
Ma perché la tendenza degli ultimi anni (diciamo pure decenni) è quella di commettere simili orrori grammaticali?
Non sarà che, ma forse, ma sì, insomma non si legge più? Che quei cari e polverosi agglomerati di carta stampata un tempo noti come libri sono stati definitivamente relegati a riempitori di scaffali, ma solo perché fa figo esporli in casa per darsi “un tono”? Come per ogni cosa, anche la parola scritta ha bisogno di esercizio, di essere coltivata e adulata. Ormai non se la fila più nessuno, non è più cool, è da sfigati scrivere un testo che vada oltre lo stringato e succinto messaggino su whatsapp, quando va bene, figuriamoci leggere.
Non c’è da meravigliarsi allora del proliferare di cotanta ignoranza. Forse è giunta l’ora di porsi delle domande sull’indirizzo che stiamo prendendo, sugli effetti collaterali di questa digitalizzazione di massa.
E, dopo averlo fatto, spegnere il pc ed aprire un buon libro.